Renata Rusca ZARGAR
Savona

RENATA
RUSCA ZARGAR
MANUALE DI NUMEROLOGIA
IL DESTINO DEL NOME - IL NUMERO DEL DESTINO
IL NUMERO EQUILIBRATORE - TABELLE DEGLI ACCORDI
E DEGLI OPPOSTI - OROSCOPO E DIAGRAMMA DELLA VITA
F.to
14x21, pp. 72, Euro 8,00
(Ed. 06/2004) Cod. ISBN 88-8185-631-X
IL LIBRO E L'AUTRICE
Con questo manuale il
lettore potrà da solo, seguendo chiare e semplici istruzioni, ricavare
tutte le informazioni necessarie per il suo tema numerologico ma,
soprattutto, scegliere positivamente i momenti in cui praticare le varie
attività della vita. Vengono trattati i seguenti argomenti: Il destino del
nome; Il numero del destino; Il numero equilibratore; Tabella degli
accordi con gli altri; Tabella degli opposti; L’anno personale; I numeri
temporanei; L’oroscopo numerologico del mese; Diagramma della vita:
cicli,
pinnacoli, opposizioni.
RENATA RUSCA
ZARGAR, insegna materie letterarie nella scuola superiore e scrittura
creativa all'Università
delle Tre Età di Savona.
Autrice di racconti su temi storici e sociali, studiosa di cultura indiana
e islamica, organizzatrice e membro di giuria di vari premi letterari, si
occupa da molti anni di numerologia, approfondendo la sua conoscenza sui
migliori testi specialistici e curando anche una rubrica radiofonica in
cui ha fornito informazioni
e consulenza al pubblico.
***
Insegnante
di ruolo di materie letterarie nella scuola superiore
e del corso di SCRITTURA
CREATIVA dell’UniSavona, Università delle Tre Età di Savona, è
fondatrice e Presidente dell’Associazione Culturale Savonese “ZACEM”, un
gruppo di poeti e pittori.
E’
stata fondatrice e Segretaria del Centro
Culturale Islamico Savonese e della
Liguria e collabora con la Comunità Islamica ligure.
Scrive
da molti anni su diverse testate tra cui
“IL LETIMBRO” (settimanale della Diocesi di Savona-Noli) e
“ARCOBALENO” (mensile del Ponente Ligure per cui, inoltre, cura la
rubrica “ANGOLO DELLA POESIA”) occupandosi specialmente di scuola e cultura ed è apparsa con articoli vari su diverse altre
pubblicazioni quali: “L’AGENDA” del
Comune e della Provincia di Savona,
“L’UNIONE MONREGALESE”, “GENTE
DI RIVIERA”, ecc.
Ha
ideato e condotto per due anni una trasmissione radiofonica locale a carattere
filosofico-esoterico ed ha partecipato a diversi altri programmi a carattere
culturale. Esperta numerologa.
Consulente
editoriale, fa parte del Comitato di valutazione del Caffè Letterario Ed. La
Bottega.
In passato è
stata ideatrice, organizzatrice e membro di giuria del Concorso di narrativa “C’ERA UNA VOLTA”
bandito dalla Scuola Media di Spotorno
e ideatrice, organizzatrice e segretaria del Concorso letterario nazionale
“SCRITTORI DELLA DOMENICA” bandito dal
settimanale “Il Letimbro”. E’, inoltre, ideatrice, organizzatrice,
presidente di giuria del Concorso Letterario Nazionale di Poesia “CITTA’
DI VADO - POESIE SULLE PIASTRELLE” bandito
dalla città di Vado Ligure (SV) alla IV edizione nel 2001.
E’
stata membro di giuria del Concorso per alunni delle scuole elementari, medie
e superiori “LA CIVILTA’ DELL’ULIVO” bandito dalla Camera di Commercio
di Savona nel 2000.
Ha
organizzato e diretto nel 2000 e nel 2001 presso la sede provinciale
dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) un “Laboratorio di
Poesia” per i malati di sclerosi multipla, aperto a tutti, con la
partecipazione di poeti e prosatori locali ed alunni delle scuole medie e
superiori.
Ha
curato la pubblicazione di alcune antologie ed ha partecipato ad altre con
brani e poesie. Scrive commenti critici per alcuni noti pittori (Piero Vado,
Caterina Massa, Adriana Martino, Armando Esposto, Afra Gattuso, Aurelia
Trapani, Emanuela Venier, ecc.) e prefazioni per volumi di poesia e narrativa
(Mario Siri, Maria Franca Ferraris).
Ha
coordinato e prefato il volume “L’ANTOLOGIA”,
rassegna di 70 tra poeti e pittori con la partecipazione della Scuola
Elementare del Santuario e della Scuola Media Giuria Chiabrera di Savona e il
I, II e III volume e CDROM “POESIE SULLE PIASTRELLE” .
Ha
partecipato, coordinandole e dirigendole, ad alcune trasmissioni (Laboratorio
di poesia) di TELEGRANDA (CN)
E’
presente su Internet ai seguenti indirizzi:
www.club.it./autori/renata.rusca.zargar
www.literary.it
E-mail:
rrzargar@gmail.com
Scrive
di lei il critico dott. Guido Pagliarino: -E’ uno stile svelto e gradevole
quello di Renata Rusca Zargar, docente di lettere e di geografia, già autrice
di fiabe su temi come la fragilità umana, l’affetto parentale, l’amicizia
e di racconti derivanti dalla più cruda realtà. Comune a tutti è
l’espressione di un grande amore per gli esseri umani, di una pietas verso i
derelitti di cui la Rusca Zargar è venuta a conoscere la situazione e la
storia. Naturalmente, se è vero che si tratta di opere ispirate al più
assoluto reale, questo viene però decantato nello spirito della narratrice e
ne deriva non una fredda testimonianza antropologica ma un caldo esprimere...-
Ha
vinto innumerevoli premi sia per la poesia che per la narrativa tra cui i più
importanti sono: “MARGUERITE YOURCENAR”, “CITTA’ DI AVELLINO”, COLLI
DEL TRONTO, “JACQUES PREVERT”, “GRAN PREMIO TERRA DI LIGURIA”, CENTRO
EDITORIALE IMPERIESE, “EMILY DICKINSON” di TARANTO, RIOFREDDO di MURIALDO,
ecc.
E’
inserita sull’“ATLANTE LETTERARIO ITALIANO” di Libraria Padovana e
nel DIZIONARIO AUTORI
CONTEMPORANEI di Piemonte, Val d’Aosta, Liguria, della Casa Editrice
Menna di Avellino con il
brano “BAMBINI A DELHI”. Due poesie sono state pubblicate su
“INCHIOSTRO” bimensile de Il Riccio Editore Verona, un racconto a sfondo
storico è stato inserito nell’ARCHIVIO DIARISTICO NAZIONALE di PIEVE S.
STEFANO. Il racconto “Ashoka
Ice Cream” è stato pubblicato sulla rivista PUNTO DI VISTA di Libraria
Padovana Editrice.
Il racconto “FINALMENTE SONO QUI” è stato pubblicato nel volume “Matriciana
Cuscus” edizione Il Poligrafo a cura di GIULIO MOZZI che, a proposito del
racconto, scrive così: -La situazione non può non sembrare forzata –la
famiglia all’aeroporto, la lettura casuale d’una rivista dimenticata in sala
d’aspetto…- ma non è questo che conta. Conta, piuttosto, ciò che in questo
racconto non è risolto. Da una parte l’infibulazione, dall’altra le donne nude
in tv. Da una parte la soggezione al maschio, dall’altra un esercizio quasi
casuale della sessualità. Da una parte la polvere e la siccità, dall’altra
l’elettricità e l’acqua corrente… Alla fine del racconto, le contraddizioni
sono tutte ancora lì. Perché -forse- le contraddizioni non si possono
risolvere, perché le contraddizioni sono nelle stesse tradizioni, in ciò che
ci costituisce come persone. Io non saprei mai essere altro da ciò che sono:
posso per così dire disertare, come fa la donna del racconto, ma non
posso smettere di essere ciò che sono. E la condizione del disertore è quella
di non poter più tornare in patria, e di non essere in patria nel luogo dove è
costretto a stare.-
FINALMENTE SONO QUI
Finalmente sono qui, all’aeroporto. Tra
due ore decollerà il mio volo per Tunis e di là, con il solito autobus
traballante, raggiungerò Medenine prima, e Hassi Hamor poi, il piccolo insieme
di case sparse dove sono nata e che ho lasciato per venire a vivere in Italia,
dieci anni fa. In questa sala d’attesa, con le mie tre figlie che fanno
chiasso, mi sento ancora più estranea e sola di quanto lo sia, ogni giorno, in
un paese che non è il mio. Infatti, c’è tanta confusione perché molte persone
stanno partendo per le vacanze estive. So bene che alcuni europei, marito e
moglie, le trascorrono separati, per divertimento. Non capisco come sia
possibile che non desiderino stare insieme in ogni momento della vita e che,
invece, ognuno guardi ad altre donne ed altri uomini…
In Italia è tutto ordinato e pulito:
strade, case, palazzi, non certo come al mio paese in cui la polvere del
deserto invade prepotente ogni cosa! Eppure la gente non è felice. Per
questo, dopo tanti dubbi ed incertezze, ho deciso di seguire la tradizione.
-Mamma, mamma, - strilla la più
piccola delle mie figlie, Nashrine, interrompendo i miei pensieri -comprami la
cioccolata!-
-Non abbiamo molti soldi da
spendere-le rispondo –ed il viaggio sarà lungo. Papà è rimasto a lavorare al
ristorante per permettere a noi di andare a trovare la nonna che non sta tanto
bene e dobbiamo cavarcela da sole.-
Vicino al bar dell’aeroporto c’è
un forte odore di caffè. La cosa più sgradevole in Italia è proprio il
caffè! Così amaro, duro, ancora adesso, dopo tanti anni, il suo aroma mi fa
fuggire! Noi non beviamo questo tipo di caffè ma un altro, più soffice, lungo,
che si adatta alla sete del deserto. Davanti a me, tra poltrone e trolley, si
muovono famiglie con bambini di tutte le età: la scuola è chiusa e quindi
possono andare in vacanza. Anche le mie figlie sono in vacanza: la più grande,
Fatima, ha già dodici anni ed ha finito la seconda media. Sta diventando una
signorina… Per questo non voglio che impari a comportarsi come certe donne di
qui. Ne ho conosciute molte, andando a pulire nelle loro case: alcune hanno un
amante, tradiscono il marito e certamente lui tradisce loro. Ciononostante,
continuano a vivere insieme anzi, spesso ambedue si mostrano davanti a tutti
come se fossero in pieno accordo! Non voglio che le mie figlie diventino così
un giorno! Mia madre ha compreso questa situazione e mi sta proponendo, da
diversi anni, di seguire, per le mie figlie, la tradizione delle mie sorelle:
l’infibulazione, cioè la circoncisione femminile. Una volta, infatti, si è
recata presso una parente, a Medenine, a vedere la televisione italiana: è
rimasta sconvolta da tutte quelle donne seminude che si agitavano, davanti e
dietro, sullo schermo.
-Che libertà è quella, -mi chiede
ogni volta che torniamo in Tunisia- quando la donna vende il suo corpo ed è
oggetto per tanti uomini? Bisogna tornare alle vecchie tradizioni a tutti i
costi. Non appena le tue figlie raggiungeranno l’adolescenza, allora bisogna
prepararle e farle diventare adulte.-
Ma io non sono stata circoncisa.
Quando mio padre, che lavorava nell’unica manifattura di ceramica del nostro
villaggio, è morto di cancro al fegato, forse, chissà, per tutte le sostanze
coloranti usate, la mamma mi ha mandato a vivere con una sua sorella a
Medenine. Ricordo, però, che mia sorella più grande, Nura, anni prima, aveva
avuto la sua festa. Le donne anziane si erano riunite in una casa vicina alla
nostra da dove giungevano suoni di tamburo e canti. Io ero stata tenuta
lontana, ma avevo sentito Nura gridare e piangere a lungo. “ Mi era stato
detto – ella mi aveva raccontato, qualche tempo dopo - che ci sarebbe stata
per me una grande festa: sapevo che in breve sarei andata sposa e ne ero
felice. Avrei lasciato la nostra misera capanna ai margini del deserto per
vivere in una vera casa, in città, con l’acqua corrente. Pensavo solo che non
sarei dovuta più andare ad attingere al pozzo sotto il sole cocente,
trascinando i secchi nel sentiero polveroso! O addirittura, come si fa spesso,
scavare sotto le pietre e la sabbia per trovare quel poco d’acqua, quando le
piogge sono troppo scarse! Tu non lo ricordi, perché eri nata da poco, ma
nostra sorella Shamima è morta a tre anni di diarrea. Il medico aveva detto
che si era ammalata a causa dell’acqua ed io avevo assistito a tutta la sua
lunga e tremenda agonia, quando i suoi occhi enormi e neri bruciavano,
implorando aiuto, nel suo misero corpo stremato. Finalmente tutto ciò per me
sarebbe finito! E poi tutti si occupavano di me, si complimentavano, dicevano
che sarei divenuta donna. La festa si sarebbe tenuta in un’altra casa dove
c’era già chi suonava il tamburo e chi cantava. Le donne giunte a festeggiarmi
erano molte e questo mi rendeva ancora più gioiosa. Poi, improvvisamente,
alcune di loro mi avevano afferrata con forza, mi avevano spogliata dalla vita
in giù senza badare alla mia umiliazione e mi tenevano ferma con le loro
robuste braccia. Intanto, continuavano a cantare, sempre più forte, mentre il
ritmo dei tamburi diveniva più assordante e veloce. La donna più anziana aveva
un rasoio tra le mani e sapeva maneggiarlo con grande abilità: avevo provato
un terribile dolore nella zona dei genitali ed il sangue aveva iniziato a
sgorgare. Per giorni e giorni la ferita mi aveva doluto e non riuscivo neppure
a stare seduta.”
Passato qualche mese, Nura era
andata sposa. Non ci vedevamo più molto, e non avevo più pensato alla “festa”.
Un giorno, riordinando nelle vecchie valigie in cui tenevamo i nostri pochi
abiti (allora a casa non avevamo nessun armadio né altri mobili), avevo
trovato un biglietto con dei versi molto tristi:
“Una bestia ferita io sono
e voglio restare nella mia tana
in silenzio
a morire.
Ti ho pregato tanto o Dio
di lavare il mio sangue rappreso
di alleviare questo male profondo
come la morte.
Ed è solo una fredda risposta
la Tua
in questa solitudine compatta
della mia morte.”
Non sapevo di chi fossero quelle
parole e certamente avrei chiesto informazioni a Nura, quando fosse venuta a
trovarci. Poi papà si era ammalato, tutto mi era passato di mente travolti,
com’eravamo, da una simile angoscia e, infine, io ero andata a vivere con la
zia. Certamente, l’esperienza di mia sorella non era stata piacevole, ma erano
passati parecchi anni ed ora le tecniche sicuramente non sarebbero state le
stesse.
-Vedrai, - insiste mia madre anche
quando ci sentiamo per telefono- sarai contenta di continuare com’è giusto che
sia! Nella nostra famiglia le donne sono state sempre al loro posto. Le tue
figlie non correranno dietro ai ragazzi e si comporteranno bene. Presto
troveremo per loro delle buone famiglie ove maritarle…-
-Mamma, mi scappa la pipì!- la mia
piccola Sara deve essere accompagnata al gabinetto. La gente spinge con
disinvoltura i carrelli zeppi di valigie e borse, chiacchierano, salutano i
parenti. Come sempre, insieme, le mie tre figlie corrono, saltano, ridono…
creano tanta confusione. Fatima sta diventando una bella ragazza: è piuttosto
alta, come molte tunisine e come me, le sue gambe sono diventate lunghe e
snelle, il corpo si è fatto flessuoso, i capelli lunghi e ricci stanno legati
a fatica. -Devi far loro indossare l’hiyab. – mi ricorda ancora mia madre
-Ormai i capelli di Fatima sono quelli di una donna.-
Lo so, Fatima passa molto tempo a
pettinarsi, a guardarsi allo specchio, mi spia per imitarmi. Ricordo ancora il
periodo della mia adolescenza: anch’io ero curiosa di tutto, volevo conoscere
il mondo degli adulti, essere “grande”. Ma so di ragazze italiane di
quattordici anni, ed anche meno, che hanno già avuto rapporti sessuali con dei
maschi. E questo mi terrorizza! E’ molto difficile mantenersi onesti in una
società dove i valori morali delle donne non esistono più. Eppure noi dobbiamo
vivere qui, in Italia, perché al nostro villaggio manca tutto, persino
l’elettricità, e lavoro non ce n’è. Intanto, cercheremo di risparmiare un po’
di soldi e poi torneremo a casa. Magari metteremo su un negozio di ceramiche a
Medenine… Ma per ora ciò non è possibile.
–Quando partiamo, mamma? Mi annoio
in questa stanza.- chiede Nashrine.
-Manca poco, ormai.- rispondo.
-La nonna ci aspetta
all’aeroporto?- domanda, invece, Shamima.
-No, certamente, la nonna ci
aspetta a casa e starà già preparando il couscous che vi piace tanto.-
Non c’è niente di più buono che il
cibo della propria casa e della propria infanzia. Il villaggio, come sempre,
sarà mobilitato al nostro arrivo, tutti accorreranno a salutarci e recheranno
qualche piccolo dono: dei datteri, della frutta secca, delle caramelle. Come
sempre, li lasceranno cadere sulle nostre teste in segno di buon augurio, ci
abbracceranno, ci chiederanno le ultime novità della nostra vita. Anche noi
abbiamo portato le piccole cose che ci hanno richiesto: qualche pezzo di
sapone italiano, uno shampoo, della liquirizia. Insieme prenderemo il tè e
parleremo nella nostra lingua. Finalmente! Poi seguiremo la tradizione del
nostro villaggio.
La zia, invece, mi diceva sempre:
-Non ti farò toccare da quelle macellatrici! L’hanno fatto a me, tanto tempo
fa, e mio marito, ogni volta, mi procurava un dolore insopportabile. Mi
avevano tolto tutto, senza pietà. Perché? Io amavo mio marito che mi era stato
scelto da mio padre. Ma egli si era stancato perché gridavo e piangevo ogni
volta che si avvicinava a me. Infine, mi aveva proposto di accettare in casa
una seconda moglie. Ma io non avevo voluto. Come avrei potuto sopportare di
vederlo davanti ai miei occhi con un’altra, quando io non potevo essere la
moglie che lui desiderava? Così avevamo divorziato. Lui, che era un brav’uomo,
mi aveva lasciato molto denaro con il divorzio. Sapeva bene che nessun altro
mi avrebbe voluta e che non avrei potuto tornare da mio padre che era tanto
povero! Vedi, non mi è mancato nulla: ho la mia casa, vestiti, oro, tutto il
necessario, ma ho sofferto tanto la solitudine ed ora ci sei unicamente tu per
me. Non ho potuto avere figli miei, a causa di quel trattamento infame, e non
permetterò che succeda anche a te!-
Poi, era giunto Saleb: mia madre,
al villaggio, mi aveva promessa a lui e c’eravamo sposati. Lentamente, la
prima notte dopo il matrimonio, egli si era accorto della mia integrità. Ne
era stato felice. Non desiderava, infatti, mi aveva confessato in seguito, una
moglie mutilata… Ma io avevo sempre vissuto in Tunisia, ero protetta dalle
nostre abitudini, dalla società, la zia vegliava come una madre su di me…
Saleb, mio marito, non sa ancora
il vero motivo del mio viaggio. Per questo ho voluto anticipare la partenza ed
egli, dopo averci accompagnate a Genova, è tornato a lavorare, come sempre, a
Vado Ligure dove viviamo. Ci raggiungerà a settembre e torneremo poi tutti
insieme in Italia. Ma finora non ho voluto parlargli di questo problema, ho
paura di affrontare con un uomo questo argomento e non so se si opporrebbe o
no…
- Non ti preoccupare di nulla, -
afferma convinta mia madre, ogni volta che le esprimo i miei dubbi- Saleb sarà
contento, alla fine anche lui capirà che ora, più di prima, è necessario
seguire questa pratica. –
Su di un tavolino è appoggiata una
bella rivista colorata, forse dimenticata da un viaggiatore. Sfogliandola, mi
capita proprio sotto gli occhi la fotografia di un’avvenente donna velata, dai
penetranti occhi scuri. L’ articolo, scritto in ordinati caratteri neri
proprio accanto alla fotografia, si intitola: “Sesso- Discussioni: La
clitoridectomia”. Non posso fare a meno di leggere, anche se un po’ a fatica,
dato che comprendo meglio il francese dell’italiano: “La maggior parte degli
studiosi si trovano d'accordo nel classificare la circoncisione femminile in
tre tipi base: la circoncisione, che consiste nella recisione del prepuzio
della clitoride e cioè la forma più blanda perché preserva la clitoride e le
parti posteriori più ampie delle piccole labbra, la clitoridectomia o
recisione che è la pratica più comune e implica la rimozione dell'intera
clitoride insieme con tutta o una parte delle piccole labbra e, infine, l'infibulazione
che è la forma più severa di questa pratica. Il termine deriva dal latino
fibula, la spilla utilizzata per agganciare la toga romana. La fibula era
usata inoltre per prevenire il rapporto sessuale tra gli schiavi; veniva
fissata attraverso le grandi labbra delle donne e attraverso il prepuzio degli
uomini. L’infibulazione comporta il taglio della clitoride, delle piccole
labbra e delle grandi labbra. Le rimanenti estremità delle grandi labbra sono
quindi cucite insieme in modo tale che l'orifizio vaginale venga chiuso.
Durante il processo di guarigione viene inserita nella vagina una scheggia di
legno per poter permettere il passaggio dell'urina e del sangue mestruale. A
seconda dei differenti costumi, la ferita viene cucita con filo di seta o per
suture (in Sudan) o con spine di acacia (in Somalia). Le ceneri usate per
controllare l'emorragia, in special modo nelle aree rurali dell'Africa
occidentale, sono spesso causa d'infezioni violente. In seguito
all'operazione, le gambe della ragazza vengono legate e viene così
immobilizzata per diverse settimane finché la ferita della vulva non guarisce.
La prima notte di nozze la cicatrice dei genitali deve essere defibulata per
consentire la penetrazione. Generalmente, in seguito ad ogni nascita la
reinfibulazione viene praticata per restituire al corpo della donna la sua
"condizione prematrimoniale". La più antica fonte conosciuta che registra
l'uso è l'opera di Erodoto (484-424 a.C.). Egli afferma che la recisione era
praticata dai fenici, dagli ittiti e dagli etiopi, come pure dagli egiziani
(cioè fin da più di 4000 anni fa). Lo scopo era quello di far diminuire il
desiderio sessuale femminile. L'usanza è estesa ancora in quelle aree in cui
predominano la povertà, l'analfabetismo e precarie condizioni sanitarie e
laddove lo stato socioeconomico delle donne è basso. La circoncisione viene
messa in pratica da animisti, atei, cristiani, ebrei e musulmani in più di
ventisei regioni del continente africano, in alcune zone della penisola araba,
in Asia e, secondo alcuni autori, la pratica è stata riscontrata anche tra le
tribù aborigene dell'Australia. La tradizione è una giustificazione ampiamente
sostenuta per il persistere della circoncisione. Per una famiglia
tradizionale è estremamente raro mettere in discussione l'essenza dell'usanza
che è sostenuta da una consuetudine profondamente radicata. La tradizione
viene data per scontata, porta con sé la sua stessa validità e lo status quo
non è mai messo in dubbio. La circoncisione è profondamente radicata in paesi
sottosviluppati dove l'analfabetismo e la miseria sono molto diffusi, dove le
donne devono lottare quotidianamente per sopravvivere e per soddisfare
fabbisogni primari. Esse crescono nel contesto delle loro norme culturali,
vivono con l'idea che una ragazza non circoncisa sia inaccettabile e non sarà
chiesta in matrimonio, che è quasi l'unica soluzione per assicurarsi un
futuro, quindi la sofferenza fisica è preferita all'ostracismo destinato ad
una ragazza non circoncisa. Questo spiega perché le donne siano le più
convinte sostenitrici della pratica e perché le sofferenze ed il rischio di
gravi infezioni siano spesso viste come preferibili alla condizione di essere
una reietta non circoncisa. La clitoridectomia, inoltre, fino a poco tempo fa
era praticata come rimedio chirurgico alla masturbazione sia in Europa sia
negli Stati Uniti. Le donne che hanno subito e tuttora fanno subire alle loro
figlie la mutilazione sessuale sono circa 100 milioni in circa 30 paesi
diversi. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità alla mutilazione
sessuale è dovuta circa la metà delle 500.000 morti di donne e dei quattro
milioni di decessi di neonati che si verificano annualmente nel Terzo Mondo
durante la gravidanza o l'allattamento.”
Improvviso, folgorante, un ricordo
lontano: -Un giorno, - mi aveva raccontato la zia- un uomo andò dal Profeta
Mohammed (la pace e la benedizione di Dio su di Lui) e gli disse di essere
stato assai ignorante e di non aver mai avuto nessuna conoscenza e guida come
tanti altri che usavano adorare gli idoli e, per loro, uccidere i figli con le
proprie mani: “Una volta, avevo una figlioletta dolcissima che mi abbracciava
stretto quando tornavo a casa dal lavoro e nei cui occhi brillavano le lacrime
quando mi allontanavo da casa. Se mi sentivo stanco e dolorante, dopo una
giornata di duro lavoro con gli animali, mi appoggiava la sua tenera manina
sulla fronte per darmi conforto. Ella non aspettava altro che la coccolassi e
le parlassi e mi amava con la tenerezza e l’abbandono fiducioso e sincero dei
piccoli innocenti. Un giorno la chiamai e la invitai a seguirmi. Lei, correndo
sulle sue gambette, orgogliosa di andarsene fuori di casa con il padre, mi
veniva dietro, affannata ed allegra come per un nuovo gioco, finché non
giungemmo vicino ad un pozzo molto profondo. Aveva le guance rosate per la
corsa, mi guardava con i suoi occhi grandi e neri sorridendomi ed attendendo
qualcosa di splendido da me... Io la presi per la mano e la gettai nel pozzo.
‘Padre!’ fu l’ultima parola che udii pronunciare, mentre mi supplicava di
salvarla.” A quella storia, peraltro assai comune a quei tempi, il Profeta
pianse tanto a lungo da bagnare la sua barba. Da allora, ogni uomo che
seppellisce vive le sue figlie, le getta nei pozzi o fa loro del male è
considerato vile, crudele e deve essere punito!-
E’ come se un velo scuro finalmente cadesse dai miei occhi:
come ho potuto credere che avrei lottato per un domani migliore, facendo del
male alle mie stesse figlie? Non seguirò mai questa tradizione: la zia, dal
cielo, dove si trova ormai, mi approverà e mi aiuterà ad insegnare, giorno
dopo giorno, che si può essere differenti, onesti, sinceri anche senza
impedire ai nostri sensi di provare intense emozioni. La donna è una veste per
l’uomo e l’uomo è una veste per la donna, è scritto nel sacro Corano. “Le
vostre spose per voi sono come un campo” e in un hadith il Profeta (la pace e
la benedizione di Dio su di lui) ha invitato esplicitamente a compiere
preliminari affettuosi prima dell’atto coniugale.
-Presto, bambine. Torniamo a casa.
Non prenderemo quell’aereo ed andremo in Tunisia quando anche papà potrà
venire con noi. Oggi l’esistenza della nostra famiglia è cambiata. Dovremo
essere forti per imparare davvero a vivere in questo Paese senza false paure,
conservando orgogliosamente la nostra diversità, ma abbandonando certe
orribili tradizioni del passato.-
Renata Rusca Zargar
ASHOKA ICE CREAM
Ashoka spingeva
lestamente lungo Puza Road, a Delhi, il suo piccolo carrettino bianco e
azzurro. Da un lato erano appese ordinatamente le file di coni per
confezionare il gelato che si trovava all’interno del carrettino stesso
mentre copriva il tutto una tendina, sempre a strisce bianche e azzurre, sulla
quale spiccava la scritta in grandi caratteri blu “Ashoka Ice Cream”.
Ogni mattina, Ashoka
raggiungeva Ajmal Khan Road, una zona movimentata di negozi e di gente, dove
il traffico ed il rumore erano incessanti. Moto, auto, biciclette, autorisciò
si mischiavano ai molteplici passanti, come api che ronzano sul miele. Egli
sistemava proprio là, in un angolino, il suo banchetto e cercava di
guadagnarsi la giornata.
Ashoka non era vecchio,
o almeno non ricordava quanti anni fossero passati dalla sua nascita, ma il
suo aspetto lo faceva apparire piuttosto anziano, con una misera camicia
scolorita addosso ed un paio di pantaloni di cui non si capiva più il colore
e la forma originale. Anche ai piedi aveva un paio di ciabatte l’una
differente dall’altra.
Nella sua famiglia i
figli erano stati sempre numerosi: suo nonno ne aveva avuti ben quindici (un
dono di Dio!), suo padre dodici ed egli ne aveva solo otto perché due,
purtroppo, erano morti da piccoli. Per mantenerli, Ashoka aveva tentato
diversi mestieri: da giovane faceva il manovale per un’impresa che costruiva
e riparava le strade. Spaccare le pietre con un pesante martello sotto il sole
bollente dell’India e respirare i vapori del catrame avevano consumato le
sue energie ed era diventato ancora più magro di quanto fosse stato prima.
Così l’avevano licenziato ed era andato, per un periodo, a raccogliere la
frutta nelle campagne. Per ore ed ore si arrampicava sugli alberi di cocco o
di banane, poi accatastava i frutti nelle ceste e li portava al limitare della
piantagione dove altri li caricavano sui carri. Faceva sempre tanto caldo, il
lavoro era assai duro ed il suo corpo era divenuto persino più scheletrico,
se possibile! La paga, invece, era ancora più scarsa e le necessità della
famiglia aumentavano. Poi, finalmente, aveva trovato occupazione come uomo
delle pulizie in un albergo abbastanza lussuoso. Con buona volontà,
inginocchiato a terra, lavava i pavimenti ed i gabinetti, spolverava
l’arredamento e rifaceva i letti delle stanze senza un attimo di sosta.
Il salario era ugualmente inadeguato ai bisogni ma, spesso, i clienti
lasciavano una mancia o qualche oggetto che egli poteva rivendere. Così,
giorno dopo giorno, aveva accumulato una piccola sommetta che gli aveva
permesso di comprare il carrettino che lui aveva chiamato “Ashoka Ice Cream”.
Oltre che il suo (e
quello della sua piccola impresa), Ashoka era stato il nome di uno dei più
grandi sovrani dell’India, della dinastia dei Maurya, tanto tanto tempo
prima.
Certamente, nominare
così la sua attività gli avrebbe portato fortuna! Ormai i suoi due figli più
grandi lavoravano anch’essi e, con un po’ di prosperità, avrebbero potuto
aggiustare quelle due misere stanzette in cui vivevano tutti quanti. Ma il
problema più grave era che c’erano ben tre figlie femmine da maritare, il
che avrebbe comportato, se voleva sistemarle con persone per bene, notevoli
spese.
-Oh, Shiva, -pregava
Ashoka, appollaiato sul carrettino in attesa di clienti –fammi guadagnare
molto. La più grande delle mie figlie, Rada, ha vent’anni e dovremo fare
una grande festa per il suo matrimonio. Vedi, stiamo cercando il marito adatto
a lei, perché possa andare a vivere in una casa e non in una baracca come la
nostra…-
-Un cono, per
favore!-qualcuno chiedeva – fragola e cioccolato.-
-Dieci rupie.-
-Shiva, - supplicava
ancora l’uomo- fai che oggi possa vendere tutto il mio gelato!-
-Due coni da venti
rupie: papaya e mango.-
-Un cono di crema…-
La giornata era stata
buona e con essa molte altre: Ashoka, la sera, con le tasche zeppe di rupie
spingeva il suo carrettino su per Puza Road fino al gruppo di capanne dove lo
aspettava la famiglia. Poi, dopo aver mangiato una ciapati e qualche
lenticchia, si stendeva a terra sul pagliericcio e si addormentava. La mattina
presto, infatti, dopo essersi rifornito di gelati, ripartiva per Puza Road.
Intanto, aveva preso l’abitudine di fermarsi al tempio di Shiva: lasciava
per un attimo il suo carrettino davanti alla costruzione e, suonate le
campanelle di buon augurio che si trovavano all’ingresso, entrava nel luogo
fresco e pulito. Lord Shiva era là, sorridente e sereno con il suo tridente
in mano e la compagnia del terribile serpente cobra.
-Forse potrò maritare
mia figlia Rada con un nostro lontano cugino che ha un buon lavoro. Ma occorre
molto denaro per i regali, per la dote…- Usciva dal tempio fiducioso: Lord
Shiva non si sarebbe dimenticato di lui.
Le giornate erano
favorevoli: il caldo opprimente spingeva molti bambini, ma persino gli adulti,
a comprare i gelati. La sera, prima di dormire, contava le rupie guadagnate e
faceva progetti. Anche i figli portavano a casa qualcosa e la moglie,
finalmente, aveva potuto comprare alcuni piatti e bicchieri in metallo.
Ogni mattina, dunque,
si riforniva di gelato, offriva un’elemosina al tempio e scendeva per Puza
Road tra i vapori dei tubi di scarico delle centinaia e centinaia di mezzi che
procedevano a zig zag strombazzando avidamente sui clacson.
Finalmente,
l’esistenza cambiava in suo favore. Gli affari andavano bene, i figli
guadagnavano, Rada era stata fidanzata e, dopo pochi mesi, sarebbe avvenuto il
matrimonio. Ashoka aveva iniziato a riaggiustare le due stanzette in cui
vivevano dieci persone. Stava pensando anche di condurre un tubo con l’acqua
corrente in casa, invece di andarla a prendere
con i secchi ad un rubinetto poco lontano.
Solo, sempre più
spesso, si sentiva stanco, mangiava ancora meno e quando, qualche volta,
finalmente, insieme alla ciapati, c’era qualche verdura di buona qualità od
una ciotola di riso ed un po’ di frutta, l’accoglieva senza entusiasmo. Un
giorno, tossendo, aveva sputato del catarro mischiato a sangue. Non ci aveva
badato molto, ma poi era successo altre volte.
I preparativi per il
matrimonio si facevano più pressanti. Sarebbe stata innalzata una tenda ed
almeno quattrocento persone sarebbero state invitate a pranzo. Poi la festa
sarebbe continuata fino a notte e la sposa, dopo aver girato intorno al fuoco
con lo sposo per sette volte, sarebbe partita per la casa del marito.
Sempre più debole,
pochi giorni prima del rito, Ashoka si era recato nell’ambulatorio
dell’ospedale. Decine e decine di pazienti aspettavano pazientemente, in
coda nella stanza spoglia, di essere visitati. Poi, probabilmente, non
avrebbero mai avuto abbastanza rupie da comprare le medicine.
-Tubercolosi.- era
stata la diagnosi.
-E’ grave?-
-Sì. Ormai siamo ad
uno stadio molto avanzato. Avresti dovuto venire prima.-
- Non c’era mai tempo
e mancavano sempre i soldi… Quanto potrò vivere?-aveva chiesto egli già
rassegnato.
-Nessuno può dirlo, ma
certo non a lungo! Comunque, ti darò una cura.-
-Grazie, mia figlia
deve sposarsi presto e non voglio creare dei problemi.-
Silenziosamente, era
tornato a casa ed aveva continuato, mattina e sera, a spingere il suo
carrettino lungo Puza Road. Così pure aveva elargito le sue elemosine
quotidiane al tempio del Dio Shiva sempre sereno e ben accogliente.
E, finalmente, il
giorno del matrimonio era giunto. La sposa, bellissima, adornata di gioielli,
con le mani ed i piedi decorati con disegni all’henné, aveva affrontato la
funzione sotto gli occhi commossi dei parenti e del padre.
Quindi, Ashoka, senza
che nessuno se ne rendesse conto, era rientrato nella sua meschina casupola e
si era steso sul giaciglio di paglia. Davanti ai suoi occhi, ecco, era giunto
il serpente di Shiva. Grande, imponente, la sua sola testa riempiva l’intera
stanza ed esso si dondolava spalancando le sue tremende fauci. Il resto del
corpo, enorme, lucido di scaglie, era arrotolato dietro il capo che si ergeva
osservando Ashoka pacatamente.
-Sono tanto stanco, non
so trovare la forza per continuare questa festa.-
Ashoka si era
addormentato.
I
commensali mangiavano, bevevano, conversavano ed ascoltavano musica sotto la
grande tenda della cerimonia. A notte fonda, prima che la sposa partisse per
la casa nuziale, Ashoka si era alzato dal pagliericcio ed era andato a
salutarla.
L’indomani sarebbe
stata una giornata di lavoro, come sempre. Una parte del banchetto era ancora
da pagare ed occorrevano tanti e tanti soldi.
Ma gli affari
seguitavano ad andare bene: sembrava quasi un sogno che, in pochi mesi, tutti
i debiti fossero stati saldati!
-Oh, Lord Shiva, ti
ringrazio! Rada è sistemata, i due ragazzi lavorano. Tra qualche anno ci
saranno le due bambine da maritare ma anche i maschi più piccoli potranno
lavorare. Se gli affari procedono bene, potremo avere un po’ di benessere.
Presto, uno dei figli potrà prendere il mio posto al carrettino e chissà…
che io non possa un po’ riposare! Lo so, sono molto malato, le forze mi
abbandonano ogni giorno di più ma… sarà fatta la tua volontà.-
Ashoka aveva offerto,
come ogni mattina, una coroncina di fiori ed una piccola elemosina. Poi, aveva
riaffrontato Puza Road. L’aria sembrava ancora più irrespirabile ed il
cielo spesso e plumbeo rendeva l’atmosfera più pesante. I dieci milioni di
abitanti della città sembravano transitare tutti di là, a quell’ora, con i
loro tubi di scappamento che emettevano densi fumi nerastri che bruciavano gli
occhi e penetravano nei polmoni.
Autobus e camion lo
sorpassavano strombazzando.
Fu così che proprio un
camion, per evitare un gruppo di taxi e risciò fermi alla sua destra, non
riuscendo a frenare in tempo, aveva sterzato verso il bordo sinistro della
carreggiata.
Davanti ad Ashoka era
apparso l’eminente serpente di Shiva: questa volta riempiva tutta la strada
miracolosamente vuota e pulita e la sua smisurata testa si alzava su, fino al
cielo, splendidamente terso e profumato. Il cobra si dondolava al ritmo di una
musica dolcissima ed apriva la bocca sconfinata: un tunnel nero verso
l’infinito. Ashoka, dunque, vi era entrato sempre spingendo il suo
carrettino e si era avviato per i sentieri dove esiste solo riposo e pace.
Shiva, il distruttore, l’avrebbe ripreso e ricreato, un giorno, per vivere
un’altra vita e perfezionare il suo spirito.
Sulla strada, intanto,
l’autista del camion, che si era accorto di aver investito qualcuno, era
sceso dal mezzo, mentre la folla si assiepava intorno.
Ma nessuno aveva
trovato la vittima.
Nella disadorna
stanzetta dove aveva vissuto Ashoka, sul suo vecchio pagliericcio, un
piccolo cobra aveva preso il suo posto. Nessuno lo avrebbe mai disturbato né
esso avrebbe mai fatto del male ai componenti della famiglia. E gli affari
sarebbero andati sempre bene.
Renata
Rusca Zargar
STRANIERO
Scacciato
dalla mia terra
a
piedi scalzi
sono
venuto a bussare
al
tuo paese
così
splendente di luci
dalle
strade ordinate e pulite.
Ho
desiderato anch’io
-
triste peccato -
le
scarpe ed una casa ricca
lucida
di mobili.
Ma
la madre di Cristo
è
mia madre
anch’ella
scacciata
da
ogni locanda del mondo,
di
paglia e fieno
è
ancora il mio letto
mentre,
sotto le coperte
e
sottili lenzuola,
riposa
il tuo morbido corpo
bianco.
Eppure
fino allo sterminato orizzonte
giungeva
la mia terra.
Alberi
giganteschi
stormivano
al sole
intorno
al grande fiume
buono
e
nella prateria galoppavano
mandrie
di animali
abbastanza
per calmare la fame.
Ora
non è più la mia terra.
Altri
mi hanno preso tutto
coi
fucili
ed
hanno usato la mia donna
illudendola
con brillanti cocci
di
bottiglia.
Poi
il padrone ha chiuso le sue frontiere
ed
ancora e ancora
sono
gettato su carrette
di
navi affastellato ed
affondato.
No,
non avranno cibo
né
giochi i miei figli
dagli
occhi scuri
né
medicine a salvarli
dal
male.
Non
giocheranno sulle strade
ordinate
e pulite del tuo paese
e
non esiste luogo
dove
possano stare.
Non
è loro diritto la vita,
la
gioia, l’amore…
Ahi!
Sento l’acqua scorrere
gorgogliante,
i
pesci guizzare tra
lame
di luce
e
le ombre fresche
delle
grotte di foglie
verdi
là,
nel mio Paradiso,
dove
camminavo felice
a
piedi nudi.

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Savona
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